Le posizioni di Carlo Petrini sono le stesse che, da tanti anni, rappresentano il cuore del pensiero di Slow Food: la valorizzazione dei prodotti di territorio, e un tipo di agricoltura che sia sostenibile, rispettosa dell’ambiente e delle persone. Un rispetto che, secondo lui, nel caso del Barolo passa necessariamente dalla conversione in biologico.
Di fronte ad una platea in cui molti erano produttori Petrini ha affermato senza mezze misure che «bisogna liberare i nostri terreni dall’uso della chimica. Per fortuna molti viticoltori lo stanno già facendo, ma sarebbe bello se fosse il Consorzio di Tutela stesso a chiedere che il Barolo nasca solo dove la chimica è stata bandita. Certo, la prima denominazione biologica al mondo potrebbe apparire come un’operazione di marketing incredibile, ma io penso invece alla salute delle persone, dei consumatori e, prima ancora, dei contadini che i prodotti chimici li respirano ogni volta che viene fatto un trattamento. Sarebbe un atto dovuto, che credo sia fattibile, magari prendendosi il tempo necessario».
Sull’argomento è intervenuto in risposta anche Federico Scarzello che, in qualità di presidente dell’Enoteca Regionale, ha ricordato come i produttori che lavorano nei Cannubi si siano già accordati per creare un biodistretto in quella che è, dal punto di vista storico, una collina di altissimo valore simbolico per il Barolo.
LA “NEBBIOLIZZAZIONE” DELLA LANGA
Nel proprio intervento durante la mattinata di presentazione Carlo Petrini ha fatto appello ai produttori presenti non solo per quanto riguarda la conversione in biologico, ma anche su un aspetto ad esso complementare: quello della biodiversità.
Il nemico, in questo caso, è la “nebbiolizzazione” della Langa del Barolo, come lo stesso Petrini l’ha definita. «Una volta – ha ricordato – il vitigno più coltivato era la barbera, e poi c’erano il dolcetto, il nebbiolo, il neirane. Ora i boschetti li abbiamo distrutti, abbiamo vigne dappertutto, monocoltura al posto di un ecosistema che funzionava. Un tempo si producevano 8 milioni di bottiglie di Barolo, mentre oggi siamo arrivati a 14. I produttori dovrebbero prendere coscienza del numero di bottiglie che possono restare invendute, e non essere succubi delle altalene della finanza. Senza i suoi vitigni autoctoni, la sua biodiversità, la Langa non ha ragione di essere: a forza di volere troppo non si porta a casa niente».
